"L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari". (Antonio Gramsci)

mercoledì 17 aprile 2013

Uscire dall'euro? Una possibile evoluzione della crisi che non giustifica l'inerzia nel presente

Pubblico di seguito un paio di commenti ricevuti al mio precedente post Spunti di riflessione, nel quale avevo parlato delle cause della crisi e formulato delle proposte per un modello di sviluppo alternativo.

I commenti sono apparsi su un blog che si chiama Orizzonte48.
 
Mr Quarantotto
Vedo che sei assestato sulla linea che "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità"; che addirittura l'aggregato di "spesa corrente, consumi e investimenti immobiliari" sarebbe la causa dell'eccesso di importazioni, senza menzionare il vincolo della moneta unica e i tassi di cambio reale che, a tacer delle manovre tedesche su salari, IVA e sussidi diretti alle imprese, sconsigliano comunque le aree valutarie. Specie se, prive di sistema di trasferimenti, sono gestite solo da una BC monetarista e deflazionista (che induce la convenienza delle politiche tedesche in violazione dei trattati). Sostanzialmente hai messo su un blog per lodare il pareggio di bilancio e la sua gestibilità come trauma minore (rispetto a ragionamenti sull'uscita dall'euro che sarebbero di dubbia correttezza).
 
Lorenzo Carnimeo
Fosse stato bravo, si sarebbe guardato bene dal citare consumi e investimenti immobiliari tra le cause della crisi dopo aver sprecato un intero post precedente per sostenere che il debito privato non c'entrava nulla e che tutta la responsabilità era da attribuirsi al disavanzo del settore pubblico (leggere per credere!). E' evidente che le due versioni dei fatti non vanno d'accordo e si contraddicono a vicenda.
 
Non avendo avuto l'opportunità di vedere pubblicata la mia replica su quel blog ... lo faccio qui.

Quando si afferma che il nostro paese è vissuto per molti anni "al di sopra delle proprie possibilità", si intende che il livello aggregato della spesa pubblica e di quella privata (famiglie e imprese) è stato sostenuto, nell'ultimo decennio, da un crescente intebitamento verso l'estero. Questo è un dato oggettivo.
 
Le motivazioni sono quelle che ho già esposto:
  1. il livello della spesa ha generato un flusso di pagamenti verso l'estero (importazioni di beni e servizi, turismo, rimesse degli immigrati, ...) che ha ecceduto sistematicamente i flussi in entrata;
     
  2. il debito dei residenti (pubblico + privato) è cresciuto più del risparmio nazionale che doveva finanziarlo e pertanto si è dovuto prendere a prestito il risparmio dall'estero.
Con riferimento a questo secondo fenomeno, proviamo a rispondere al buon Lorenzo Carnimeo, che si è scandalizzato per il mio post sulla crisi del debito pubblico.
 
Se si guarda solo alla variazione dello stock di debito in rapporto al Pil, si rileva che fino al 2008 il debito pubblico è rimasto piuttosto stabile sui valori di inizio decennio, mentre quello privato (famiglie + imprese) è andato crescendo.
 
Allora la colpa dei privati che si sono indebitati? Non proprio. Il ragionamento corretto è quello sugli stock di debito, non sulle loro variazioni.
 
Infatti, il debito privato è sì cresciuto, ma è rimasto comunque ben al di sotto della media dei paesi della zona euro. Mentre la ricchezza netta delle famiglie si è mantenuta ben superiore. Si può dunque affermare che il maggiore indebitamento dei privati abbia trovato solido presupposto nel livello di patrimonializzazione delle famiglie.
 
Al contrario, è il debito pubblico che, pur non essendo aumentato in rapporto al Pil, si trovava già all'inizio del decennio su livelli sensibilmente superiori a quelli medi della zona euro.
 
In sintesi: l'aumento del debito privato, pur se non eclatante, ha provocato un aumento del debito estero perchè il risparmio nazionale era (ed è) assorbito dal finanziamento di un debito pubblico fuori scala. E' come avere una brocca riempita d'acqua fino al bordo: basta una sola goccia d'acqua in più per farla tracimare.

A questo, bisognerebbe poi aggiungere che il debito pubblico è sì rimasto stabile nel periodo che ha preceduto lo scoppio della crisi, ma a fronte di una riduzione della spesa per interessi a seguito dell'adesione all'Euro, nell'ordine dei 20-30 miliardi di euro l'anno !
 
Il fatto che, progressivamente, il paese si sia ritrovato a vivere "al di sopra delle proprie possibilità", non dipende però "automaticamente" dal livello raggiunto dalla spesa interna e neppure dall'entità, in sè, della quota intermediata dallo Stato, il cui ruolo è anzi è essenziale per riuscire a coordinare le risorse di un paese e focalizzarle su obiettivi di rilevanza strategica.
 
Il nodo vero è un altro, e chiama in causa la qualità di quella spesa: in uno scenario in cui i Paesi usciti dal gioco del colonialismo si sono affacciati sul mercato mondiale per reclamare lavoro e reddito, una parte troppo esigua della spesa è stata investita per rinnovare le basi della competitività del nostro paese ed il suo modello di sviluppo.
 
Le risorse sarebbero dovute essere indirizzate, senza tentennamenti, su istruzione, ricerca, sostegno all'innovazione ed internazionalizzazione delle imprese private, infrastrutture e così via. Ma avrebbero anche dovuto favorire la transizione da un modello di sviluppo incentrato sul consumo vorace di beni privati sempre più spesso importati, ad uno orientato alla fruizione di beni comuni, più sostenibile da un punto di vista economico, sociale ed ambientale (beni comuni come: la cultura, la tradizione, la socialità, il volontariato, la salvaguardia dell'ambiente naturale, la qualità del tessuto urbano, le strutture pubbliche come parchi, impianti sportivi, biblioteche, ...).
 
La Politica ha preferito invece tirare a campare, cercando di non mettere in discussione il consenso legato ai trasferimenti che categorie sociali e pontentati locali sono abituati a ricevere dallo Stato. La spesa pubblica si è così inchinata ai "diritti acquisiti" ed alle pressioni esercitate da lobby e clientele. Mentre gli incentivi fiscali sono state dispersi in misure "a pioggia", anzichè concentrarsi sulle realtà imprenditoriali che sono in grado di innovare e di generare una richezza condivisa tra l'impresa, i lavoratori ed il territorio.
 
A quanti come Quarantotto addossano tutta la colpa all'euro, vorrei dire che questa posizione non deve distogliere l'attenzione dall'obiettivo di "mettere ordine in casa priopria".
 
Chi nega il grave ritardo nella costruzione "politica" che avrebbe dovuto affiancare l'adozione della moneta unica? Da un lato l'euro ha ulteriormente rafforzato il "vincolo esterno" della competizione internazionale. Dall'altro, le istituzioni e le politiche comunitarie non sono state in grado di contrastare l'accumularsi degli squilibri tra i paesi membri, nè di predisporre per tempo una rete di protezione "solidale" che evitasse lo sfociare in una crisi finanziaria.

Adesso che la crisi è scoppiata, si cerca di recupere il tempo perduto condizionando gli aiuti finanziari ai paesi indebitati all'adozione di misure di austerità fiscale finalizzate al riequilibrio dei conti con l'estero ed al progressivo rientro dai debiti contratti. Il punto è che l'austerità da sola non è sufficiente ed anzi sta aggravando la crisi.

La sfida che la società italiana si trova ad affrontare è quella di trovare la lucidità e la cosesione necessarie per avviare il cantiere per la costruzione di un nuovo modello di sviluppo.
 
L'uscita dall'euro non risolve di per sè il problema della nostra democrazia "bloccata". Non serve a liberare il paese dalle catene degli interessi consociativi e di un individualismo diffuso che ne hanno frenato sia il dinamismo economico, sia la possibilità di perseguire condizioni di maggiore equità distributiva. Questo è il nodo che continua a ripresentarsi nella nostra storia recente!

Proporre l'uscita dall'euro è un tentativo di aggirare il problema senza risolverlo: tra il 1992 ed il 1995 la lira perse il 40% del proprio valore rispetto al marco tedesco, dandoci un sollievo solo temporaneo che non ha impedito di impattare in una nuova crisi ancora più drammatica. Oggi poi, gli esiti di una tale manovra sarebbero molto più incerti, considerate le guerre valutarie a livello internazionale ed il fatto che le produzioni italiane occupano una posizione più marginale in un mercato mondiale divenuto nel frattempo molto più affollato e competitivo.

Potrebbe anche darsi che si finisca per uscire dall'euro... ma ciò non può avvenire ad esito di una scelta ordinata e consapevole dei cittadini (modello referendum), bensì perchè costretti da eventi così drammatici che auguro a me stesso ed a chiunque altro di poter evitare (si guardi al popolo greco, che pur nella sofferenza non si è ancora convinto dell'opportunità di uscire dalla moneta unica).

Pertanto, se pure l'uscita dall'euro costituisce una delle possibili evoluzioni della crisi, l'attesa di un tale evento "salvifico" non giustifica comunque l'inerzia nel presente (e la chiusura in gruppi settari ossessionati da complotti esterni e visioni sul ritorno alle politiche economiche dei mitici anni Settanta... Questa sì, sarebbe un forma di "collaborazionismo con il nemico" !)

Un cordiale saluto.
Emilio L.

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